Mentre stavo in aereo, diretta in Africa in Burkina Faso, per essere ospite missionaria di Villareggia, ho letto questo libro.
L’Africa non è un paese – Dipo Faloyin
Sono cresciuto in una casa dove vigeva la politica delle porte aperte. Sono cresciuto credendo fermamente che venire in visita a casa nostra significa mangiare a casa nostra, perché il cibo è il linguaggio d’amore per eccellenza; il cibo assolve dai peccati e dispensa la grazia.
Potersi definire apertamente e pienamente è un privilegio, anche se molti lo danno per scontato.
Poche realtà sono state sottoposte a una simile distorsione più volte dell’Africa, un continente di cinquantaquattro paesi, più di duemila lingue e quasi un miliardo e mezzo di persone.
Una regione del mondo che viene trattata e descritta come se fosse un unico paese, privo di sfumature e condannato per sempre alle privazioni.
Per troppo tempo «Africa» è stato sinonimo di povertà, conflitto, corruzione, guerre civili e grandi distese di arida terra rossa dove cresce soltanto miseria.
Oppure viene presentata come un grande parco safari, dove leoni e tigri si aggirano liberi intorno alle case e gli africani trascorrono le giornate in tribù di guerrieri che, seminudi, hanno in mano la lancia e vanno a caccia di selvaggina, oppure saltano su e giù al ritmo di un loro rituale in attesa del prossimo pacco di aiuti.
Per quanto mi sforzi di spiegare che sono cresciuto in una metropoli tentacolare, troppe persone riescono a immaginare solo quello che sono state programmate per credere.
Gli imperi europei si sono spartiti le terre più fertili e ricche, hanno smembrato il dieci per cento di tutti i gruppi etnici – costringendo culture molto diverse a formare stati unitari contro la loro volontà.
L’uomo bianco è molto astuto. È arrivato, silenzioso e pacifico, con la sua religione. Noi abbiamo riso della sua stupidità e gli abbiamo permesso di restare. Adesso ha conquistato i nostri fratelli, e il nostro clan non può più comportarsi come clan. Ha infilato un coltello nelle cose che ci tenevano uniti e noi siamo andati in pezzi.
Chinua Achebe, Le cose crollano
L’Africa non è un paese, la trama:
A volte capita di sentir dire: «È scoppiata una guerra in Africa», oppure: «Mi piace la cucina africana», come potremmo dire che c’è stata una nevicata in Spagna o che siamo appassionati di cibo vietnamita.
Pensando all’Africa, nelle menti di molti europei affiorano solo immagini stereotipate perché «per molto tempo, “Africa”», scrive l’autore, «è stato sinonimo di povertà, conflitto, corruzione, guerre civili e distese di arida terra rossa dove cresce soltanto miseria. […]
Un grande parco safari, dove leoni e tigri si aggirano liberi intorno alle case e gli africani trascorrono le giornate in tribù di guerrieri che, seminudi, hanno in mano la lancia e vanno a caccia di selvaggina, oppure saltano su e giù al ritmo di un loro rituale in attesa del prossimo pacco di aiuti. Povertà o safari, e in mezzo niente».
Ma l’Africa è molto altro, non è una cosa sola, e non è un paese: in questo libro Dipo Faloyin – cresciuto in Nigeria e che vive a Londra dove collabora con diverse testate internazionali – ci offre gli strumenti per conoscere meglio la realtà. Esaminando l’eredità coloniale delle nazioni del continente africano e muovendosi fra i temi più vari – dalla vita urbana di Lagos alla rivalità su chi cucini il miglior riso jollof –
Faloyin smonta sarcasticamente la superficialità dell’Occidente che tratta l’Africa senza tenere conto delle differenze – culturali, sociali, economiche – e delle singolari condizioni di ciascun paese. Tra racconti storici e personali, Dipo Faloyin rimette in ordine dinamiche comuni e vicende particolari che, alla fine della lettura, attenuano un po’ la nostra ignoranza.
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