Il mito della bellezza descrive un periodo di grande transizione sociale e culturale: le donne entrano in massa nel mercato del lavoro, ma ne restano ai margini.
La loro presenza sconvolge le dinamiche del potere e va in qualche modo controllata.
Il mito della bellezza non riguarda soltanto gli effetti psicologici del continuo autovalutarsi, sorvegliarsi o conformarsi a un modello, ma più in profondità quanto queste azioni sottraggono alle donne le energie – già di per sé razionate – dell’abitare lo spazio pubblico.
Il mito della bellezza si è rafforzato per assumere l’opera di coercizione sociale che i miti sulla: maternità, la domesticità, la castità e la passività non riescono più a gestire.
Il mito della bellezza, la trama:
Le donne di tutto il mondo appaiono schiacciate da una nuova mitologia che non esalta più la casa, la purezza e la maternità, ma qualcosa di forse ancora più terribile e insidioso.
E la bellezza ad acquisire valore sociale, diventando quindi ambizione costante e compito a cui ottemperare: dal lavoro alla sessualità, dalla cultura all’alimentazione, dal rapporto con gli uomini a quello con le altre donne.
La questione decisiva che Wolf pone in questo grande classico del pensiero femminista è: «Le donne si sentono libere?».
Rispondere a questa domanda significa far emergere il complesso intreccio fra bellezza, potere e oppressione, fra corpi e imperativi economici e sociali.
Un saggio attualissimo che ci aiuta a smascherare e a scardinare il mito della bellezza, che ancora oggi pervade la società contemporanea.
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