All’interno del suo libro Come un romanzo (Feltrinelli), lo scrittore francese Daniel Pennac, analizza la nostra interazione quotidiana con l’oggetto libro e i suoi contenuti, dimostrando in tal modo alcune storture presenti nell’educazione, sia scolastica che familiare.
In particolare, nelle situazioni in cui la lettura, normalmente, viene presentata come un dovere, Pennac la pone come un vero e proprio diritto – da cui il decalogo – perché:
«le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere».
Io una volta mi sentivo in colpa a non finire un libro. Con l’età sono diventata più indulgente con me stessa.
Se un libro non mi piace, lo lascio, poi non è detto che un giorno, non lo riprenderò a leggere.
Mentre leggo ad esempio un romanzo, mi capita di saltare intere righe soprattutto quelle descrittive, che a volte già so dove vanno a parare.
Un’altra cosa che mi piace fare è cambiare genere, ad esempio adoro i romanzi d’amore, però li intervallo con libri tecnici per il lavoro.
Adoro leggere con il Kindle però ho notato che non devo mettere tutti e 10 libri disponibili alla lettura nella libreria virtuale, perché poi mi viene l’ansia da prestazione se non riesco a leggerli.
Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”, il verbo “sognare”…
1) Il diritto di non leggere.
Libro o tv? Libro o passeggiata? A secondo del nostro umore, a secondo del nostro “momento” di vita, abbiamo il diritto di lasciare il libro sul comodino, abbiamo il diritto di fargli aspettare il suo turno, qualche volta ci sono altre priorità.
2) Il diritto di saltare le pagine.
Se il libro è noioso, abbiamo il diritto di saltare qualche pagina, nella speranza che la narrazione migliori, che la trama diventi più avvincente, che il saggio sia meno soporifero. O per arrivare il prima possibile all’ultima pagina.
3) Il diritto di non finire un libro.
Tutti, anche i lettori più “voraci”, hanno lasciato, almeno una volta nella loro vita, un libro a metà, o dopo poche pagine, e non lo hanno mai completato.
Colpa dell’autore? Colpa nostra che erroneamente, indotti da copertina o testi di quarta, ci aspettavamo tutt’altro? L’ideale sarebbe riprenderlo dopo un bel po’ di tempo e vedere che succede…
4) Il diritto di rileggere.
Senza ombra di dubbio: se un libro ci è piaciuto alla follia, dobbiamo rileggerlo.
5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
Secondo Pennac non ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi, tutti possono leggere quello che vogliono.
6) Il diritto al bovarismo.
Il bovarismo, ovvero «la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (momentaneamente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco».
7) Il diritto di leggere ovunque.
Nella società di oggi, dove il tempo è denaro, dove bisogna sempre correre, ogni luogo è giusto per leggere; il diritto di leggere ovunque – treno, tram, aereo, nave, bus, in fila, in attesa di qualcuno… – è indispensabile. L’esempio di Pennac è lampante: il soldato che legge Gogol mentre pulisce le latrine.
8) Il diritto di spizzicare.
«È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo. […] Quando non si ha né il tempo né i mezzi per concedersi una settimana a Venezia, perché negarsi il diritto di passarvi cinque minuti?».
9) Il diritto di leggere a voce alta.
Perché leggere a voce alte? «Per la meraviglia. Le parole pronunciate si mettevano ad esistere al di fuori di me, vivevano veramente».
10) Il diritto di tacere.
«L’uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in un gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. […] Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità»…
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